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lunedì 28 aprile 2014

A SORT OF HOMECOMING (mantra for nepal)

da quando sei rientrato piove. piove una pioggia fine di nuvole basse e compatte e grigie. là era solo sole e cieli alti e azzurri, e la coltre di polvere a coprire i quattro orizzonti e ogni cosa, anche le vie respiratorie ad ogni respiro, certo. qui invece piove una pioggia fine di nuvole basse e compatte e grigie. uno stacco netto. dall'estate a una specie di autunno. ma questo dovrebbe aiutarti, dovrebbe aiutarti a sentirti di nuovo qui. dovrebbe.

dovrebbe aiutarti a rientrare dalle strade polverose e raramente asfaltate. dai cani randagi che dormono ai bordi delle vie o in mezzo agli incroci. dai black out programmati ogni singolo giorno. dai clacson suonati come una cacofonia costante. dalle mucche ferme nei posti più impensati. dai namasté detti sempre col sorriso e le mani giunte chinando il capo. dai bambini sorridenti e bellissimi  e dalle bambine con gli occhi truccati e bellissime. dalle case di mattone e legno lavorato per gli infissi. dalle case diroccate e non finite moderne e già pericolanti. dagli odori di curry e masala e tikka e cardamomo e cumino e coriandolo che escono dalle porte aperte. dai mendicanti sotto le tettoie a ripararsi dal sole. dai bambini monaci buddisti che guardi dall'alto giocare a calcio. dai dannebud con cui ringrazi chiunque si lasci fotografare. dai giri in senso rigorosamente orario intorno ai templi. dalle ruote tibetane che giri augurandoti la sorte per il futuro. dagli om mani padme hum che dopo un po' iniziate a canticchiare come una litania costante. dalle pagode dagli stupa dagli shikhara, dalla mescolanza costante di templi e religioni. dall'arancione e dal rosso e dal giallo delle offerte votive lasciate ogni mattina agli dei. dal rosso delle donne sposate. dagli ingorghi ovunque. dai motorini che ti sbucano sempre bastardi alle spalle suonandoti all'ultimo. bastardi. dai chilometri camminati su sentieri polverosi. dalle cicale che friniscono nella notte tra i monumenti bui della piazza e tu stai seduto sulle scale di pietra di mille anni fa e sei nel qui e ora e ci sarai per sempre. per sempre. dai cieli di stelle e costellazioni. dalle strade deserte alle nove di sera e nere di black out. dai bambini in divisa che vanno a scuola. dai trentatre milioni di dei hindu e dai buddah. dai chowmen dai momo dal fried rice dal curry dal masala dal tikka. dalla birra tibetana calda e dalla everest gelata. dalle pire funebri per ardere i morti e riconsegnarli alla ruota della vita. e lo ricorderai l'odore che permea l'aria mentre ardono i fuochi. dal sangue dei sacrifici animali del tempio di kali. e i fedeli che camminano a piedi scalzi attraverso di esso. dalla divina sessualità dei lingam in pietra in ogni tempio. e delle yoni che li accolgono, compenetrandosi, come nella vita. dagli occhi di buddah sulla cima dei templi a  stupa al cui sguardo non puoi fuggire e che ti trapassa. ovunque. dalle bandiere tibetane e i 5 colori che garriscono nel vento. dal tetto dello stupa di bodnat e dalla piazza di bahktapur. dai sorrisi delle donne quando le guardi negli occhi. dai canti dei monaci tibetani che cantano i loro mantra nel buio della sala. dalle trombe e dai tamburi tibetani che interrompono le litanie. dai commercianti e dai questuanti che cercano di venderti qualsiasi cosa. dalle campane e dai canti nel tempio alle 4 di notte. bastardi. dai generatori. dai thanka disegnati su panni di cotone. dall'alba che sorge sulle montagne di nagarkort. dalle vasche d'acqua verde e puzzolente a costellare le città antiche. dalle donne che attingono l'acqua ai pozzi. da un himalaya che non vedrai mai coperto di foschia e polvere, e che sarà il motivo per tornare in questo paese, un'altra volta, e farlo già in questa vita. dal bianco dall'oro dall'azzurro degli stupa buddisti. dal grigio della pietra dei tempi indu. dai rossi e arancioni e gialli della polvere con cui ricoprono le statue. dall'amaranto e dai marroni dei mattoni del legno delle bordature in stoffa delle pagode. dalle bottiglie d'acqua per lavarsi i denti. dalla calma di una vita che scorre in piazze millenarie. dal sedersi a guardare la gente che scorre. dal rosso del tilaka sulla fronte. dai petali di fiore e dai chicchi di riso lasciati sulle statue degli dei. dai sorrisi della gente. ovunque.

la pioggia dovrebbe aiutarti a rientrare da dove sei appena tornato. dovrebbe.
che chissà quando tornerai davvero a casa, però, tu.

sabato 15 febbraio 2014

martedì 23 luglio 2013

flashback: NEI GIORNI DEL TEMPO IMMOBILE

c’è il sommesso mormorio costante delle fronde degli alberi, c'è il rumore liquido delle foglie, nei giorni e nelle notti di vento.
[avevi una stanza sul fiume, in un’altra vita. ché ogni vita è composta di tante vite diverse. e in una di queste tue vite diverse, tu ti sei ritrovato casualmente a vivere nella stanza che dava sul fiume. ed era una stanza piccola, ma ti bastava. e fuori dalla finestra di questa stanza piccola e che ti bastava c’era il fiume. tu lasciavi i vetri accostati, la notte, per addormentarti col rumore dell’acqua.
quando ti capitava di lasciare l’albergo per un paio di giorni, certi fine settimana che tornavi verso quella che in fondo e ovunque tu vivessi è sempre stata la “tua” città, ogni volta che ti capitava di lasciare l'albergo per un paio di giorni, ti tenevano quella stessa stanza, come una sorta di tacito accordo. e al tuo ritorno era a quella stanza piccola sul fiume che facevi ritorno, nei mesi in cui hai vissuto lì.
e c’era il rumore sommesso dell’acqua che entrava dalla finestra della stanza piccola sul fiume. e c’era il piccolo ritmico rumore della pioggia che batteva lieve sul fiume, nei risvegli dei giorni di pioggia]

ci sono notti di piccole stelle tremolanti nel vento del cielo delle notti che le piccole stelle tremolano nel cielo di vento.
[ed è così, guardando le piccole stelle tremolanti nel cielo nero delle notti, che scopri che hai dimenticato le costellazioni. riconosci le orse, la cintura di orione quando è inverno, e cassiopea. delle altre, alcune le vedi ancora, ma non ricordi il loro nome -proprio non lo ricordi-, e alcune non riesci più a distinguerle, perse in troppe stelle nel cielo.
ed è così che scopri che da qualche parte hai dimenticato le costellazioni, da qualche parte in un’altra vita. ché ogni vita è composta di tante vite diverse. e in una di queste tue vite diverse tu eri capace di dare un nome alle costellazioni e alle stelle che vedevi nelle notti che le piccole stelle tremolano.
c’erano notti che ti sdraiavi sul prato, e guardavi su. ed era così che ti perdevi, quelle notti.]

[e, poi, dopo, anni dopo, in un’altra ulteriore vita, ché ogni vita è composta di tante vite diverse, in una di queste tue vite diverse il dito che ti indica piccole stelle che scintillano nel vento di un cielo nero, e la voce che ti dice “guadda! guadda quante fate su nel cielo”]

i believe the stars are the headlights of angels
driving from heaven to save us
won’t you look at the sky?
they’re driving from heaven into our eyes

ci sono gli attimi, a volte. e piccoli scarti impercettibili. e la differenza che questo fa.
[e pensi che forse il tempo, in sé, è inerte. il tempo non cambia nulla. è ciò che accade nel fluire del tempo a determinare i cambiamenti.
e gli attimi scartano, a volte, scartano e cambiano direzione, gli attimi. accade senza che nulla accada, così, semplicemente accade. ed è come sentire il rumore che fa quando il momento cambia, e diventa qualcos'altro.
e senti lo stacco dove prima c’era una sorta di intimità. ed è un attimo. e sembra trascorso un secolo.]

[e gli attimi scartano, a volte. e cambiano direzione, gli attimi. 
accade senza che nulla accada, così, semplicemente accade.
ed è come sentire il rumore che fa quando il momento cambia, e diventa qualcos’altro. 
ed è un attimo, e sembra trascorso un secolo.]

don’t know where i’m going
don’t know where it’s flowing
but i know it’s finding you

ci sono nuvole rapide che passano sotto il sole, e l’alternarsi di luce e ombra.
[e nel tempo a spirale c’è l’eterno ritorno dell’identico diverso da sé. e le bolle di sapone che scivolano sul vento sono le stesse, però ora non sei tu ad inseguirle, ma è lei. e tu guardi. guardi le bolle volare. guardi lei che corre. la guardi afferrare bolle di sapone in volo. distruggendo mondi.]

continuano i giorni dell’azzurro del cielo. continua il vento. continua l’onnipresente fruscio delle foglie. continuano le notti nere di stelle.
ci sono nuvole rapide che passano sotto il sole. e montagne immobili a chiudere ogni orizzonte.
c’è un lago incastrato tra le montagne, laggiù, in fondo. e l’odore di acqua dolce non arriva fino a quassù.
ci sono libri da leggere. e ci sono parole da scrivere. e parole da leggere, anche. e ci sono le sue corse da seguire con lo sguardo, per poi riderne.

lasciami qui, lasciami stare, lasciami così,
non dire una parola che non sia d'amore
per me, per la mia vita, che è tutto quello che ho,
è tutto quello che io ho, e non è ancora finita.

c’è lo scorrere del tempo immobile quaggiù, qua, sotto, quaggiù sulla terra.
sopra, nel cielo del giorno e della notte, le scie degli aerei attraversano uno dei corridoi della rotta nord.

[© the silver jews, the go-betweens, c.c.c.p.]

domenica 17 febbraio 2013

...& NIGHT

inverno e freddo e neve per terra dappertutto e che fra croc sotto le suole degli anfibi ad ogni singolo passo che spezza la crosta ghiacciata e affonda di qualche centimetro ad ogni passo mentre cammini lungo la sterrata, e quando alzi lo sguardo una stellata immane da orizzonte nero a nero orizzonte su ogni lato del cielo e orione enorme e bellissimo al centro del cielo da milioni d'anni nel medesimo punto dell'universo, e la linea di alnitak alnilam e mintaka a tagliarne il centro, e la luna è una finissima C presa da una qualsiasi bandiera musulmana, che biancheggia sottile nell'assoluto nero, appoggiata lì a segnare un qualche promemoria tra le stelle.
e tu, quaggiù.

martedì 12 febbraio 2013

(cartoline a kovalski) 'T WAS THE TIME OF MILK&LEMON

erano giorni così, quei giorni d'inizio millennio. non li ricordo nemmeno bene, quei giorni, sai, kovalski? non li ricordo bene, no, ché come fotografie lasciate alla luce per troppi anni il tempo ne ha smussato i bordi e scolorito i lineamenti. ma qualcosa resta, foss’anche solo una sensazione vaga e diffusa ancorché confusa, una sensazione più che un'esatta definizione. non li ricordo bene quei giorni d'inizio millennio, no. ascoltavo musiche casuali, questo lo ricordo, sì. ascoltavo musiche casuali e sceglievo quali portarmi dietro e quali lasciare lì. ricordo le strade infinite, e il nero dell'asfalto che si confondeva con il cielo della notte. i bordi sono confusi e i dettagli si mischiano, ma ricordo l'odore della terra respirando a pieni polmoni in fondo alle notti di primavera, bevendo caffè e cocacola e poi un altro caffè per restare sveglio per i chilometri e le notti da attraversare. ricordo le città nel cuore della notte quando arrivavo, e le vie deserte disegnate dai lampioni, ed essere il solo a camminarle a un'ora così, le vie deserte disegnate dai lampioni nel cuore della notte delle città che ero il solo a camminarle a un'ora così. erano notti così. ed erano giorni così, i giorni all'inizio del millennio, sai, kovalski? era prima di te, molto prima di te. era un nuovo millennio e anni nuovi, ed ero spiazzato e non sapevo bene come si faceva, però tentavo, però provavo, però alla fine in qualche modo riuscivo. erano giorni così, kovalski, ed erano notti così. ed è un altro decennio, ora, ed è tutto diverso. meglio così. meglio così.

e ci sono domande, kovalski. domande che è tanto tempo che voglio fare. ma è troppo tempo ormai, voglio farle e non so più a chi. a chi si fanno le domande, kovalski? tu lo sai? le domande a chi si fanno?  a chi? a me stesso? a te? ai giorni che scorrono via così? ci sono domande che è tanto tempo che voglio fare, e poi, sai cosa?, non so nemmeno se mi importano le risposte. non lo so. ché le domande sono sempre le stesse. sempre le stesse. impellenti, impellenti. e chissà. chissà da dove partono, i treni per tozeur. e chissà quando arrivano, poi, i treni a tozeur. e che tempo fa laggiù.

giovedì 4 ottobre 2012

"...'COS I'VE RUN EVERY RED LIGHT ON MEMORY LANE..." (o, TEENAGE WILDLIFE)

and girl it looks so pretty to me like it always did, like the spanish cities to me when we were kids e non erano città spagnole, non per te, non per voi, per voi non erano spagnole, le vostre città, e non lo sono state mai.

eravate adolescenti in vie austriache, e che camminavano lenti attraverso un cimitero ricoperto d'erba. dalla vetrina si vedeva l'abside della cattedrale, la pioggia cadeva fine, e bevevate caffè bollente, stringendo le mani attorno alle tazze, per scaldarvele. nei piatti briciole scure di sachertorte, e gli aloni lasciati dai cucchiaini.

nelle strade di città tedesche era una domenica deserta, nessun in giro, saracinesche abbassate ovunque, una domenica deserta come se il mondo si fosse fermato e il genere umano fosse scomparso, silenziosamente, senza alcun clamore, svanito nel nulla tutto il genere umano, lasciandosi dietro solo le architetture dei palazzi e la meccanica delle automobili parcheggiate come unica traccia di sé.

c'era uno scompartimento buio, ed era solo per voi due, quello scompartimento nel treno che attraversava veloce la notte e i campi di francia, in starlight nights i saw you, so cruelly you kissed me, your lips a magic world, your sky all hung with jewels. the killing moon, will come too soon. Il buio dello scompartimento e un "vorrei poterti dire la stessa cosa" che è più assassino della luna. fuori il paesaggio oscuro che scorre veloce, dentro intrecciare corpi, sfiorando sensazioni.

erano i canali di amsterdam, e correre correre correre a perdifiato, correre per arrivare alla stanza, quella stanza in cima alle scale ripide e strette, così ripide che in cima ci arrivavate col fiatone, la stanza minuscola e con il soffitto altissimo, minuscola intorno a un enorme letto sfatto, bianca talmente bianca la stanza che il mattino dopo strizzerete gli occhi per poterla guardare attraverso l’esplosione del sole, e ora ridere, ridere nella notte cercando le cartine e sbriciolando tabacco, la fiammella dentro il palmo della mano. al risveglio, il mattino dopo, sorridere, con la luce attraverso la vetrata che disegnava i vostri corpi tra le lenzuola bianche. e strizzare gli occhi per riuscire a vedere, nel bianco di questa stanza sospesa sui tetti di amsterdam.

era pedalare cazzafrulli lungo i canali nella luce tersa dell'estate del nord,  uno scarto improvviso e un groviglio di ruote e bici, e ritrovarsi per terra a ridere della geometria di due biciclette perfettamente impilate.

era il fermo immagine di due adolescenti sotto cieli belgi, e quelle nuvole veloci che attraversano i cieli del belgio, talmente veloci che solo magritte riesce a fermarle.

eravate fermi sulla collina a guardare l’oceano, e quel tramonto stinto alle 10 di sera in terra di normandia. la stagione è indefinibile, com'è il momento in cui ti accorgi che stai guardando un'estate morire.

eravate treni, strade e stanze, e pullman e metrò presi al volo, adolescenti sotto cieli e stelle di mezza europa.

è la tua voce quella che dice “sai che così mi costringerai a ricordarmi di questo lampione per tutta la vita? questo lampione. proprio questo. ma ti sembra giusto essere costretto a ricordarmi per tutta la vita un lampione così?”, e lei che ridendo dice qualcosa tipo “ma va che te lo dimenticherai”, e invece eccoti qua a pensare a un lampione di parigi, a lei che ti dice qualcosa mentre ci passate accanto, e al tuo “anch’io” soprappensiero e poi subito dopo la consapevolezza improvvisa e allora è un gesto un attimo quando con la mano fai perno sul lampione e gli ruoti intorno e le arrivi davanti e le dici “scusa?! cos’hai detto?!”.

e poi, e poi, passare attraverso campi verdi infiniti attraversando la cecoslovacchia, quando esisteva ancora un cecoslovacchia da attraversare, e camminare gli infiniti grigi di varsavia, e poi eccovi lungo i canali e le vetrine di danzica sentendosi in un'olanda minore.

eravate i cieli blu dell’italia del sud e il bianco delle case di calce, e il sapore del sale sulla sua pelle nella stanza senza imposte e senza mobili senza nulla con solo un materasso per terra e her body tan and wet down at the reservoir, at night on them banks i’d lie awake, and pull her close just to feel each breath she’d take.

e c'erano i giorni spesi sui banchi nelle mattine infinite di ore che non passano mai, e c'erano gli autobus al ritorno e poi, e già, poi, sul portone non c’è più lei, forse ho sognato, forse tutto si è già fermato, e si è fermato quando c'erano i pomeriggi di libri da sottolineare con il sole che si abbassa dietro i vetri, e bigiare in giorni qualunque per scivolare in un letto ancora caldo del suo sonno e sulla sua pelle, e le sere d’inverno in vie di lampioni a parlare con la condensa avvolta come fumetti intorno alle parole o a coprire il mondo al di là dei finestrini, e c'erano le notti d’estate camminando strade vuote o in letti senza lenzuola, e aspettare partenze che stavano per arrivare, e i remember we were driving, driving in your car, the speed so fast i felt like i was drunk, city lights lay out before us, and your arm felt nice wrapped ‘round my shoulder, and i had a feeling that i belonged, and i had a feeling i could be someone, be someone, be someone e c'erano strade e c'erano stanze, e c'era una strada sterrata in mezzo ai campi del granturco ormai giallo d'un'estate che stava morendo, e la sua pelle sulla tua e respirare unisoni e you know i’d sooner forget, but i remember those nights when life was just a bet on the race between the lights. you had your head on my shoulder, you had your hand in my hair, now you act a little colder like you don’t seem to care, già, è esattamente così, è che sembra non importare davvero più, ormai, ché gli anni passano e gli anni trapassano, e gli incontri diventano sempre più casuali e sempre meno frequenti, poi, ed è meglio così, ti dici, sì, è molto meglio così, perché quando gli anni passano e gli anni trapassano gli adolescenti svaniscono, man mano svaniscono finché non li riconosci neanche più quando li incontri, quei due adolescenti che non ci sono più, nascosti sotto i vestiti e le facce degli adulti che sono diventati.
ed è proprio così, sembra davvero non importare più, ormai.
e sì, forse è davvero meglio così.

and girl it looks so pretty to me like it always did, like the spanish cities to me when we were kids anche se non erano città spagnole, non per voi, per voi le vostre città spagnole non lo sono state mai, e quei due adolescenti è già tanto che non ci sono più, è così tanto ormai. eppure girl it looks so pretty to me. like it always did.

… now all them things that seemed so important, well, mister, they vanished right into the air.

[© dire straits; echo & the bunnymen; bruce springsteen; roberto vecchioni; tracy chapman]

domenica 30 settembre 2012

TEN YEARS BEFORE

ti ho vista tra dieci anni.
stamattina, fuori dal grill, guardavi dal piazzale verso l’ingresso mentre io scendevo dall’auto. non me l'aspettavo, di trovare te. e poi, lì. eri tu. di schiena a pochi metri da me. i tuoi jeans aderenti gli stivali bassi le gambe magre il tuo culo perfetto, eri tu. forse hai cambiato taglio dall’ultima volta, questo sì, sembra diverso… sempre i tuoi capelli neri corti, certo, ma non li ricordavo scalati così sulla nuca. stai bene, davvero. 

ti ho vista tra dieci anni.
stamattina, fuori dal grill, guardavi dal piazzale verso l’ingresso mentre io ti camminavo a fianco, e tu ti stavi infilando un giubbotto di pelle, attillato come sempre i tuoi. ed è bello anche il carrè, del tuo nuovo taglio. eri tu. anche con i segni del tempo che non ti conoscevo ancora,  sul volto e attorno agli occhi, le linee nette sulla pelle. eri tu. anche mentre notavo il tricipite posteriore del braccio ormai ceduto, mentre ti infilavi il giubbotto, e neanche questo lo conoscevo ancora, di te. 

ti ho vista tra dieci anni.
stamattina, fuori dal grill, nel rumore dei tir e delle auto che scorrevano da e verso l’austria e la slovenia. nella luce pallida e piatta del sole quando il cielo è indeciso tra nuvolo e sereno. eri tu, stamattina, mentre ti guardavo. mentre ti camminavo di fianco. e oltre. stamattina.
e sei bella davvero, tra dieci anni, lo sai?

domenica 2 settembre 2012

IL 25esimo KOVALSKI


sì, vaffanculo...
vaffanculo io? vacci tu! tu e tutta questa merda di città e chi ci abita!
in culo agli zingari che usano i bambini per chiedermi l’elemosina e appena mi allontano mi lanciano maledizioni alle spalle, e poi vengono a svaligiarmi la casa.
in culo ai lavavetri maghrebini che ogni mattina mi sporcano il vetro pulito della macchina.
in culo ai rumeni e agli slavi che vanno per le strade a palla con le loro auto decrepite… puzzano di gulash da tutti i pori: mi mandano in paranoia le narici… e rallentate, cazzo!
in culo ai ragazzi di via sammartini, con il torace depilato e i bicipiti pompati, che se lo succhiano a vicenda nei tuoi parchi e te lo sbattono in faccia su gay tv.
in culo ai bottegai cinesi di via sarpi, con le loro piramidi di vestiti importati e con le loro scarpe di plastica: sono qui da 10 anni e non sanno ancora mettere due parole insieme!
in culo ai russi del lato est della stazione centrale, mafiosi e violenti, seduti nei bar a sorseggiare il loro thé con una zolletta di zucchero tra i denti; rubano, imbrogliano e cospirano… tornatevene da dove cazzo siete venuti!
in culo anche ai centrafricani del lato ovest della stazione, che vendono eroina e fanno i papponi delle loro donne!
in culo agli ebrei ortodossi, che vanno su e giù per via bixio nei loro soprabiti imbiancati di forfora a vendere diamanti sporchi del sangue dell’uganda.
in culo agli agenti di borsa di piazza affari, che pensano di essere i padroni dell’universo; quei figli di puttana si sentono come michael douglas/gordon gekko e pensano a nuovi modi per derubare la povera gente che lavora. in culo al fondo monetario internazionale, ai derivati, allo spread, alle banche d’affari e alle agenzie di rating!
in culo agli albanesi: venti in una macchina, e fanno crescere le spese della sanità pubblica. e non fatemi parlare di quei segaioli dei kossovari: al loro confronto gli albanesi sono proprio dei fenomeni.
in culo ai calabresi di rozzano con i loro capelli ingellati, le loro tute di nylon, le loro medagliette della madonna, che lucidano le loro auto assettate da rally, sperando in un’audizione per il grande fratello.
in culo alle sciure del quadrilatero della moda, con i loro foulard di hermès e i loro carciofi di peck da 50 euro l’etto, con le loro facce pompate di silicone e truccate, laccate e liftate… non riuscite a ingannare nessuno, vecchie befane!
in culo ai siciliani di quarto oggiaro: non passano mai, non stanno in difesa, fanno tre falli ogni azione, poi si girano e danno la colpa alla lega e alla mafia. l’unità d’italia c’è da quasi 150 anni: muovete il culo, è ora!
in culo anche ai napoletani che qui non c’è mai il sole: tornatevene a napoli e non rompetemi i coglioni!
in culo ai vigili e agli ausiliari della sosta, che ti multano per il lavaggio strade notturno sotto casa e se ne sbattono il cazzo dei suv, dei fuoristrada e delle citycar in terza e quarta fila davanti ai locali che bloccano il traffico ogni sera.
in culo ai preti che mettono le mani nei pantaloni di bambini innocenti. in culo alla chiesa che li protegge, non liberandoci dal male. e dato che ci siamo, ci metto anche gesù cristo. se l'è cavata con poco. un giorno sulla croce, un weekend all'inferno, e poi gli alleluja degli angeli per il resto dell’eternità. provi a passare sette anni nel carcere di opera..!
in culo a osama bin laden, a al qaeda e a quei cavernicoli retrogradi dei fondamentalisti di tutto il mondo: in nome delle migliaia di innocenti assassinati, vi auguro di passare il resto dell'eternità con le vostre settantadue puttane ad arrostire a fuoco lento all'inferno, stronzi cammellieri con l'asciugamano in testa, baciatemi ‘ste due palle!
in culo a quelli che il fascismo squadrista e a quelli che l’antifascismo militante e sfascista, ai black bloc e ai no-tav: gli anni ‘70 sono finiti, figurarsi la seconda guerra mondiale, coglioni!
in culo ai perbenisti che giudicano con gli occhi incollati sul culo della tua ragazza.
in culo a quelli “contro” che a trent'anni ancora si fanno mantenere da mamma e papà.
in culo ai locali pettinati pieni di shampiste che non stanno zitte un secondo senza dire mai una frase originale, e pieni di coglioni con la camicia aperta fino all’ombelico anche a gennaio.
in culo alle modelline slave e ai calciatori milionari. in culo agli alternativi vestiti in serie con lo stampino.
in culo a quelli che “milano è insopportabile non vedo l’ora di andarmene”: ma chi cazzo vi obbliga a viverci, coglioni?
in culo a questa città e a chi ci abita. dalle villette di san siro agli attici di zona 1, dalle case popolari di via palmanova ai loft dei navigli, dai palazzoni della cerchia alle case ottocentesche di pagano, da quelle a due piani dietro via fiamma agli appartamentini dell’isola. che un terremoto la faccia crollare. che gli incendi la distruggano. che bruci fino a diventare cenere, e che le acque si sollevino e sommergano questa fogna infestata dai topi.

no, in culo a te, montgomery kovalski. avevi tutto e l'hai buttato via. brutto testa di cazzo! 

[kovalskato da: la 25a ora, © spike lee, 
e dove lo puoi vedere? esattamente qui ]

mercoledì 29 agosto 2012

LE FRASI PERFETTE

le frasi perfette sono l'intuizione di un attimo sono la combinazione istantanea di parole in una sequenza irrinunciabile perfetta e necessaria che ti attraversa la mente scorrendo lungo le sinapsi percorrendole sfruttandone curve anse rilievi e discese per acquisire velocità in progressiva accelerazione che nel momento stesso in cui le pensi sai che quella è la perfezione sai che non c'è nulla da togliere nulla da aggiungere né da dividere da una frase così che lo sai che se la perfezione esiste la sai la senti è lì dentro di te ora adesso in forma di parole modellate esattamente ed esattamente ordinate e sai che in nessun altro modo potrebbero essere se non così ché la perfezione è talmente perfetta che la riconosci appena la vedi ché la perfezione è intuitiva e non devi ragionarci sopra né valutarla soppesarla o considerarla la perfezione la riconosci a istinto in un attimo e lo sai benissimo che è quella la perfezione e che in nessun altro modo potrebbe essere se non esattamente così e nell'istante in cui le parole diventano frase dentro le tue sinapsi in quel preciso istante le frasi perfette ti attraversano come proiettili nella notte e sono le frasi perfette quelle che non riesci mai a memorizzare a trattenere a ricordare perché i proiettili nella notte sono piccoli e attraversano lo spazio buio più veloci della tua vista più veloci del suono molto più veloci di te e tu sei lì che stai camminando guidando facendo altro qualsiasi cosa non importa cosa oppure non stai facendo nulla stai per addormentarti a letto e certo che non ti alzi non ti muovi proprio resti immobile al sonno che si avvicina e ti ricopre e le frasi perfette che sono proiettili nella tua notte esplodono ti attraversano e passano oltre svaniscono e si perdono nel buio ne perdi parole e sequenza e respiro e ritmo e chissà dove vanno a finire le frasi perfette dopo che sono esplose e ti hanno attraversato e sono passate oltre e sono svanite perse nel buio chissà se la loro folle corsa finisce da qualche parte in qualche luogo e chissà qual è il luogo dove si fermano esauste e immobili alla fine della loro parabola le frasi perfette ora immobili e dimenticate chessò un enorme libro laggiù in fondo un libro enorme alla fine dell'universo che le raccoglie tutte da tutto il mondo da ogni tempo in ogni lingua e lì si depositano su pagine immense che si sfogliano da sé pronte ad accoglierne sempre di nuove appena pensate là dove c'è la fine di tutto un solo enorme libro per tutte le frasi perfette di ogni tempo di ogni luogo di ogni lingua e se è così allora forse torneranno a vivere un giorno alla fine del tempo e dello spazio e la fine del tempo sarà un flusso di parole in sequenze perfette che attraverserà lo spazio siderale il nero infinito il gelo cosmico l'assenza di qualsiasi cosa del vuoto assoluto attraverserà le curvature le stelle le galassie schivando pianeti orbitanti e nova che esplodono in bagliori atomici immensi e multicolori e passerà oltre le nebulose oltre le costellazioni oltre le nane bianche oltre la densità di minuscole pulsar bordeggiando buchi neri e sciami meteoritici e il flusso di parole in sequenze perfette delle frasi perfette alla fine di ogni tempo attraverserà come scie luminose il nero siderale e cavalcando lo spazio vuoto gelido immenso del cosmo cavalcando l'infinito le frasi perfette torneranno qui e negli ultimi istanti di questo pianeta ci faranno estinguere nella perfezione delle parole di tutta la storia di tutti i pensieri dispersi di tutte le intuizioni che ci hanno attraversati come proiettili nella notte e che abbiamo perduto.
oppure anche l'universo è prosaico e le frasi perfette sono perse per sempre nel vuoto nel nulla di menti che dimenticano troppo in fretta una perfezione che non gli appartiene e che non sanno trattenere.

giovedì 19 luglio 2012

POST FAI DA TE

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venerdì 13 luglio 2012

ATTRAVERSO AFRICA (a short story)

è il caldo. il caldo che ti scorre sopra le mucose delle narici quando inspiri. il caldo che ti entra nei polmoni ad ogni respiro. è il caldo. ovunque. in ogni momento.
il caldo è caldi diversi. c’è il caldo umido dell’aria spinta dall’oceano, che ti si incolla addosso ad ogni millimetro di pelle e che ti ricopre come una guaina da cui non c’è modo di liberarti. e c’è il caldo secco che evapora all’istante qualsiasi umidità, anche la tua, e non hai nemmeno una stilla di sudore addosso, la tua pelle asciutta e pulita come non è stata mai.

nella discoteca di fez la ragazza ti scopa con gli occhi. non riesci nemmeno a darle un’età. 20 anni. 18. 16. non lo sai. non sai come si leggono gli anni sulle ragazze, qui. magari ne ha 14. che cazzo ne sai. però, cristo, uno sguardo così non si può combattere, né reggere. uno sguardo così è la voglia il desiderio il sesso, è la vita. un bisogno assoluto, ineludibile, detto chiaramente anche senza dire parole. è una promessa muta. e la sua bocca sa di dolce, ha sapore di cannella e di spezie a cui nemmeno sai dare un nome. la sua bocca, per te, è un continente intero, un continente che non conosci. e il suo sesso è un mondo nuovo. un nuovo profumo un sapore nuovo. ed è lei a prenderti e guidarti dentro il suo mondo, in questo continente. è lei a prenderti in mano. e portarti dentro di sé. respirandoti in bocca mentre respiri nella sua.

la casbah è l’unica costruzione sull’altopiano. è ancora lì, anche ora che non ha più senso un presidio militare. e fin lì, e da lì, le piste polverose dell’alto atlante. dove ogni centro abitato è solo una stazione di scambio. chilometri di nulla, poi, e tende di pastori nomadi a intervallare di presenza umana la terra primordiale.

è facile, troppo facile perderti nella medina. odori colori suoni voci urla richiami. è un microcosmo che ti satura le percezioni. un immenso rumore di fondo sensoriale che ti fa perdere la percezione di te. ed è difficile, troppo difficile schivare ogni questuante, ogni persona che vuole farti da guida, ogni commerciante che vuole venderti qualcosa, ogni singolo ladro che non aspetta che una tua disattenzione, o il momento in cui prendi la svolta sbagliata. è necessario e difficile, restare padroni di se stessi. necessario. e così maledettamente difficile.

m. è un mercato di scambio dove si incontrano mondi. decidi di perderti, qui, tra arabi, maghrebini, neri subsahariani. il luogo dove confinano i mondi. e dove i mondi commerciano tra loro. decidi di perderti, qui, nel crocevia dei mondi.

paul bowles perso nei vicoli di tangeri. e tra le natiche di giovani ambrati.
william burroughs nei suoi sogni eroinomani. e le notti che odorano di gelsomino e che sanno di alcool passate a scrivere.
le mille voci che si rincorrono sulle pagine di elias canetti.
il tè nel deserto. o il tè alla menta che appoggi sul ripiano di marmo di tavolini all’ombra del canto dei muezzin che chiama in lontananza.
arthur rimbaud che contratta con un cammelliere il prezzo per trasportare le casse di legno sbrecciato.
thierry sabine non arriverà a dakar. non stavolta. questa volta il suo viaggio si interrompe. e per sempre.
antoine de saint-exupery immagina un bambino che cammina sulla duna di fronte a lui.
ma non tu. tu, tu non sai immaginare, tu ti fermi al reale, al tuareg (“je ne suis pas un twareg, je souis kel tamahaq") che ti chiede in una lingua più di gesti e sguardi che di parole di seguirlo, te lo chiede guardandoti fisso dentro gli occhi. e lo segui,  fuori dall’oasi e su una delle dune lì intorno. e all’improvviso si ferma, e stende la stoffa sulla sabbia. e la sua pelle è liscia e tesa sotto la tunica, e la tua pelle si increspa appena ti sfiora, e la sua voglia di te è nelle mani che ti scorre addosso e nell’erezione che preme contro la tua. l’homme in bleu è davvero blu, stanotte, ed è blu la sua pelle sotto la luce di un cielo senza luna. stanotte siete entrambi blu, sulla sabbia, sotto questo cielo senza luna, sono blu i vostri corpi che mischiate sempre più. mischiandovi dita, mani, bocche, lingue, labbra, cazzi.

le voci prive di qualsiasi grazia dei dromedari al risveglio. come lamentele per un nuovo giorno di sole che sta per iniziare. ormai lo riconosci anche in mezzo agli altri, il tuo dromedario.
non sai nemmeno dire se quello che mangi ti piace. o ti fa schifo. non sai nemmeno dire se è commestibile quello che mangi. mangiare questa roba incomprensibile, di colori e consistenze mischiate, carne verdure cereali ossa nervi e chissà cos’altro, senza un sapore comprensibile, questo è semplicemente sopravvivenza. la tua.
ci vogliono giorni. ma alla fine impari a metterti da solo la tagelmust.

li chiamano homme in bleu. ma sono azzurri. la carovana è una traccia filiforme azzurra e marrone che scorre lungo la sabbia arancione.
le notti del deserto sono immense come le stelle che punteggiano il nero del cielo, come il silenzio che permea ogni cosa, immense come essere arrivato, alla fine, all’essenziale di ogni cosa, e del tuo stesso essere vivo.
la notte del deserto annichilisce ogni cosa. e ridefinisce ogni tua definizione di te. e non c'è null'altro, ora adesso qui.

al di là dell’oceano smisurato di sabbia, in fondo a questo sogno di sabbia calore dune e sole impietoso c’è il bacino del niger, e lì si trova timbuctù. ma non riesci a vederla, da qui, non riesci nemmeno a immaginarla. è oltre. infinitamente oltre. oltre orizzonti troppo numerosi da passare per riuscire a pensarci, ora, sotto questo sole a picco, davanti alle onde immobili di sabbia gialla, ora che respiri caldo ad ogni respiro. ti chiedi se ci arriverai mai, laggiù, in quel dove che non riesci nemmeno a immaginare. o se la tua eternità si svolgerà tra queste dune di sabbia. se vagherai senza fine in queste immobili onde di sabbia. se sei destinato a questo, forse. a morire qui.

venerdì 6 luglio 2012

I'M FEELING SUBATOMIC (just give me gin&tonic)

[antefatto: questi sono i giorni della fisica sulle prime pagine dei giornali, con la conferma empirica dell’esistenza del bosone di higgs, che con umile&morigerato eufemismo è detto anche “particella di dio”]

e per quelle che no ai post lunghi (vero, v?):
allacciati le cinture, alice, che da qui in poi di meraviglie ne vedrai un bel po’”.
the matrix]


la divisibilità dell’indivisibile. l’atomo come proprio stesso ossimoro. l’a/tomo in/divisibile che si compone di elettroni, protoni, neutroni. nucleo, e particelle. e il loro movimento relativo. l’ironia di avere un nome che viene superato di slancio da ciò che si è.
e chissà come ci si sente, a sapere di essere un ossimoro.

l’atomo come tessuto della realtà. cambiano la trama, le fogge, i colori, i tagli, la tessitura, lo spessore, le cuciture, ma è un solo ed unico tessuto quello di cui tutto è fatto. 

le cose che compongono il mondo, tutto ciò che vedi, tu stesso anche, come ammasso ordinato di atomi. prova a immaginarlo. prova. a. immaginarlo. e quando guardi, non vedere case, strade, alberi, nuvole, cielo, persone, la tua mano. Quando guardi, vedi gli atomi che le compongono. prova. prova a visualizzare gli atomi che compongono ogni cosa esistente e che percepisci. o che credi di percepire.
quanto relativizza ogni cosa, questo?
we are such stuff as dreams are made on. fatti della materia del sogno, ti dice che siamo fatti della materia del sogno. il sogno come scariche elettriche che attraversano sinapsi di un cervello addormentato. il sogno come elettricità statica interiore?
elettricità. atomi in movimento. noi siamo fatti della materia degli atomi in movimento. proprietà transitiva del sogno.

e anche volendo, e anche provandoci, e anche sforzandoti, non riesci. no, non riesci proprio. non riesci a pensare a te stesso come somma di atomi che costituiscono molecole che si legano in cellule che formano tessuti che fanno il tuo stesso corpo che fanno te.
sapere non è vedere, né sentire. o anche solo riuscire ad immaginare.
e posto di fronte ad uno specchio, nell'immagine riflessa che guardi, credi di vedere te stesso, ma non puoi vedere ciò di cui sei realmente fatto. il tuo stesso paradosso, il paradosso che sei : ti è impossibile vedere l’atomico di cui tu stesso sei fatto. anche solo immaginarlo. anche solo visualizzarlo mentalmente. ogni tua fibra, il tuo stesso corpo, non sono ciò che vedi. tu non sei ciò che vedi quando guardi te. la tua percezione si ferma ai tessuti. la tua percezione di te si ferma alla superficie, e alle sensazioni che sulla superficie provi. a un livello più profondo, al livello reale, non riesci ad andare. non riesci a vedere ciò di cui il tuo stesso corpo è fatto.
sei fermo sulla tua stessa superficie. e se non riesci a vedere l’atomico, nemmeno ci provi con il subatomico che lo compone. eppure ti definisci “tu”, credendo di sapere di cosa parli.
e se l’a/tomo in/divisibile è l’ossimoro di se stesso, tu hai in sorte altrettanta ironia di ciò che ha un nome sbagliato. anche tu sei il tuo stesso ossimoro. superato di slancio da ciò di cui sei fatto.

irrimediabilmente mediano, sei fatto per il medio.
as above, so below. il troppo piccolo è fuori dalla tua capacità percettiva. non riesci a vederlo. e così, dimentichi che esista, e credi che la realtà sia la tua percezione mediana. tu ti dimentichi di te stesso, ti dimentichi di essere un ammasso ordinato di atomi.
as below, so above. anche il troppo grande è invisibile ai tuoi occhi. vedi le strade, i palazzi, le piazze, ma non vedi la città. da un aereo vedi le città, le pianure, i fiumi, il mare, le montagne, ma non puoi vedere un continente. un continente puoi immaginarlo, certo. puoi pensare la terra, anche, sai com’è fatta. puoi pensare ai pianeti che compongono il sistema solare. puoi pensare ai sistemi stellari che compongono galassie. puoi pensare le galassie, anche. una. due. dieci. cento, forse. ma poi non riesci. non riesci a pensare l’universo composto di infinite galassie.
irrimediabilmente finito, non puoi pensare l’infinito.
eppure, tu sei lì dentro. tu ci “vivi”, lì dentro. tu vivi un dove che non sei capace di pensare.

karma coma
(jamaican aroma?)

non puoi pensarlo. non puoi immaginarlo. può essere tutto. o nulla. può essere talmente tutto o talmente nulla che può anche essere che l’infinitamente grande sia solo un ulteriore infinitamente piccolo.

as above, so below.
l’universo che ci racchiude può essere atomi, perché no? possiamo essere particelle subatomiche. ogni stella un nucleo. ogni pianeta un elettrone. ogni sistema solare un atomo. ogni galassia una molecola.
e se l’alto è come il basso, se l’infinitamente grande è come l’infinitamente piccolo, se la trama della realtà di ogni cosa esistente nella realtà è unica e il suo tessuto è atomico, puoi immaginare qualunque cosa. qualunque cosa.
as above, so below.

puoi immaginare l’intero universo una molecola qualsiasi. puoi immaginare la molecola parte di una sfera, forse. una palla. l’universo una palla di plastica. arancione. l’intero universo che nemmeno riesci a concepire solo un punto infinitesimale della superficie di una palla di plastica arancione. lanciata da due bambini. su una spiaggia di sabbia. in un giorno d'autunno. e immaginare la traiettoria curvilinea della palla lanciata dall’uno all’altro contro il cielo azzurro di un pomeriggio d’autunno.

e l’universo scorre così. e la tua vita scorre così, in un universo che è una molecola. in una palla arancione, lanciata in aria da due bambini, la parabola arcuata che disegna la sua traiettoria, su una spiaggia sabbiosa, in un qualsiasi pomeriggio d'autunno.

puoi immaginarlo. e la sensazione che questo ti dà.

... e allora, ci vuole ancora molto per questo gin tonic?

 [© shakespeare; massive attack]

venerdì 22 giugno 2012

R.S.V.P.

tu credi nella più assoluta parità dei sessi. o meglio, non è che ci credi, tu, nella parità dei sessi: tu la più assoluta parità dei sessi la dai semplicemente per scontata. 
e infatti, eccoti alla ricerca di una donna sperabilmente giovane, sperabilmente attraente, sperabilmente intelligente, sperabilmente divertente, sperabilmente colta, sperabilmente sensuale, sperabilmente lasciva. sperabilmente tutto, ma quel che è sicuro, ricca. ma non ricca; imbarazzantemente ricca, ecco. chè, ammettilo, hai troppe cose interessanti da fare nella vita, tu, che mica puoi star lì a perdere tutto 'sto tempo a lavorare, ti pare? 

ora, sul perchè una donna giovane, attraente, intelligente, divertente, colta, sensuale, lasciva, sperabilmente, e -quel che è necessario- imbarazzantemente ricca debba essere lì che aspetta te... beh, non sarà mica la prima volta che una donna ti stupisce con una scelta che, comunque la guardi, è irrimediabilmente assurda, no?

martedì 12 giugno 2012

SERATA ALLO ZOO METROPOLITANO

interno notte. pizzeria. tu e l’amica mys al tavolo uno di fronte all'altra. pizza, birra, e parole. la sequenza standrd degli argomenti di conversazione: dal parcheggio al traffico, passando poi alle relazioni sentimentali per arrivare alle relazioni tout court, e gran finale sulle interazioni maschietti vs femminucce. il flusso classico, insomma.
mys: “che alla fine è una questione di galateo. perché le buone maniere sono importanti. sempre. anche nel dopo schienamento”
tu: “nel senso?”
“nel senso che un galateo ci vuole anche lì. insomma, se parliamo di schienamento sportivo, quello senza questioni sentimentali, allora dopo non esiste che uno mi deve mettere nella condizione di dovergli dire “beh, ciccio, mi sa che è ora che tu te ne vada”. che insomma, è imbarazzante dai…”
“vero…”
“appunto. quindi, ci vuole il galateo post schienamento: deve essere lui a fare il gesto di andarsene. sempre. tirarsi su e dire “beh, io vado”. a quel punto, se voglio, lo trattengo io. se non voglio, lo lascio andare. questo se siamo da me... e uguale se siamo da lui, che in questo caso invece sono io a dirgli “adesso vado”. e se vuole, mi trattiene lui. ma non esiste che uno mi si piazza lì a dormire così a tradimento, se non voglio. è una questione di educazione. eccheccazzo. dammi la possibilità di scegliere no?”
“uh uh già è vero, hai ragione… stica che fastidio la cane morto…”
“che schifo kovalski dai! come la cane morto..?!?”
“massì, la cane morto, dai, quella che ti collassa lì all’improvviso. un attimo prima hai lì nel letto una viva attiva reagente, un attimo dopo un cadavere. addormentata secca. un cane morto, appunto. e che non schiodi più fino al mattino dopo, poi...”
“in effetti "cane morto" rende, è vero…dio, che odio.”
“che poi, ancora ancora la cane morto. quella che davvero non reggo è la koala”
“la koala?.... cazzo, ma tutto lo zoo ti fai?”
“scemachesei! ma no, la koala. quella che non solo non fa il gesto di andarsene, non solo ti collassa lì all’improvviso. no, non basta. che la koala è quella che per dormire ti si intreccia pure addosso come il koala all’eucalipto, appunto...”
“è vero, sì. il koala… ma allora meglio il cane morto, piuttosto, che almeno lui dorme dalla propria parte…”
“appunto… la koala invece ti si avvinghia addosso, e nemmeno scrollando il braccio e la gamba te la stacchi via… che la koala è come cercare di dormire con una stufa attaccata addosso. ma semovibile, che se provi a spostarti ti segue…”
“vedi che ho ragione io, kovalski? il galateo. ci vuole il galateo. che non ci sono più le buone maniere di una volta…”

lunedì 13 febbraio 2012

KANTALOOP

raccogli un sasso e infilalo in tasca raccogline un altro e tienilo in mano tienilo nel palmo giralo ruotalo osservalo pesalo soppesalo cerca il lato di taglio ruotalo fino ad avere il sasso di piatto tra pollice indice e medio distendi il braccio all’indietro muovilo di scatto in avanti dai un colpo di polso lancia il sasso guardalo volare guardalo parabolare nell'aria guardalo rimbalzare sull’acqua conta i rimbalzi contali tutti prendi il numero dei rimbalzi e compra altrettante vocali prendi le vocali che hai comprato prendi le consonanti che hai tenuto da parte in tutti questi anni prendi vocali e consonanti e mischiale insieme scuotile shakerale mischiale mixale alternale estraile a manciate alcune lasciale cadere altre tienile e fanne parole prendi le parole tirale stirale allungale spiegale piegale mescolale incollale in frasi prendi le frasi e fanne dei cubi monocolore prendi i cubi monocolore portali al mercato e vendili e con il ricavato compra la ruota per fabbricare vocali per mischiarle ad altre consonanti che hai tenuto da parte in tutti questi anni prendi vocali e consonanti e mischiale insieme scuotile shakerale mischiale mixale alternale estraile a manciate alcune lasciale cadere altre tienile e fanne altre parole prendi anche queste parole tirale stirale allungale spiegale piegale mescolale incollale in nuove frasi prendi queste nuove frasi e fanne altri cubi monocolore porta al mercato anch'essi e vendili e continua così finché non ti annoi e quando poi ti annoi prendi i soldi prendi le frasi rimaste prendi i cubi che non hai ancora venduto prendi la ruota metti tutto dentro un sacco blu baratta il sacco in cambio di un sentiero sulla sabbia togliti le scarpe imbocca il sentiero inizia a camminare cammina fino alla fine del sentiero e giunto in fondo voltati e ricomincia a camminare conta le impronte che sono rimaste fino all’inizio del sentiero e giunto all’inizio del sentiero prendi il numero delle impronte scrivilo su un foglio arancione piega il foglio in otto quadrati uguali scava una buca nella sabbia infila il foglio nella buca e poi ricoprila di sabbia da qui conta tre passi a destra accucciati e costruisci un castello sulla sabbia baratta il castello di sabbia con una baracca di legno prendi la baracca di legno e asse dopo asse smontala e riportala a una pila di legna prendi la legna dalla pila asse dopo asse e fanne una palafitta sull’oceano entra nella palafitta raggiungi il terrazzo metti la mano nella tasca prendi il sasso che hai lì dall'inizio estrailo tienilo in mano tienilo nel palmo giralo ruotalo osservalo pesalo soppesalo cerca il lato di taglio ruotalo fino ad avere il sasso di piatto tra pollice indice e medio distendi il braccio all’indietro muovilo di scatto in avanti dai un colpo di polso lancia il sasso guardalo volare guardalo parabolare nell'aria guardalo rimbalzare sull’acqua e conta i rimbalzi contali tutti