giovedì 31 gennaio 2013

E ALLORA, KOVALSKI?

e allora, kovalski?
e allora pensi.
che detta così, sembra scontata. la cosa più ovvia del mondo: “e allora pensi”. ma così banale non è, a ben guardare. ché il pensiero ha questo di strano, che viene da sé. mica li decidi tu, i tuoi pensieri. che insomma, sono i "tuoi" pensieri, no? e allora, ti aspetti che dovresti essere tu a pensarli, i tuoi pensieri. e invece no. i pensieri ti arrivano così. li pensi che già ci sono, i tuoi pensieri, non è che li assembli tu parola dopo parola, no, i pensieri quando ti arrivano sono già pensieri. formati, fatti, finiti, rifiniti, definiti. che dovresti essere tu a formularli, i tuoi pensieri, e invece no, è qui il trucco: loro ci sono da un attimo prima del tuo pensarli. ché non li pensi tu, i tuoi pensieri, no, sono loro che ti attraversano le sinapsi. e chissà da dove ti arrivano i pensieri, allora, che già formati fatti finiti rifiniti definiti ti attraversano le sinapsi.
 
e allora pensi. e già in questo, sotto l’ovvietà della superficie, c’è un enorme mare nero insondabile, da qualche parte molto prima della soglia del tuo pensiero cosciente.
 
e allora pensi.
non sai se sia il cambio di stagione. che ogni sera ti accorgi che diventa buio sempre un attimo dopo, sera dopo sera -e ogni sera ti stupisce l’attimo in cui ti accorgi che c’è ancora luce, perché è il buio che innesta i pensieri, non c’è nulla da fare, ché buio o luce non è la stessa cosa-. e vedere nel persistere qualche attimo in più della luce prima di sfumare nel buio l’ennesimo inverno che sfuma verso l’ennesima primavera.
non sai se sia questo.
non sai se sia che la consapevolezza in certi giorni è più acuta –e questo vuol dire che altre volte invece la consapevolezza è più ottusa, allora, ma per ora questa la lasci qui-. forse è questo: l’acutizzarsi della consapevolezza, e sentire di più le cose che solitamente scorrono senza che tu vi presti attenzione.
non sai se sia questo.
non sai se sia che ci sono cose che assumono un significato simbolico e ineludibile. che siano giorni, o che siano gesti. giorni che si avvicinano, e che stanno per arrivare. o anche gesti semplici e minimali, come vuotare una scatola, magari. e li senti marcare anche il tuo tempo, i giorni che s’avvicinano o certi gesti minimali, con un segno indelebile. ed è anche questo che dà il senso dello scorrere del tempo, e della sua irrimediabilità: i segni incisi lungo il percorso.
ma no, non sai se sia neppure questo.
(una cosa però la sai: sai che non è questione di sindrome premestruale. e di questo sei sicuro, ché ti aiuta la biologia, qui. che anch’essa ha le proprie ineludibilità. ché in ogni cosa, in ogni situazione, se fai attenzione qualche piccola certezza c’è sempre. e questo lo sai, che non è questo. gran cosa, la biologia, gran cosa.)
non sai se sia che a volte non sai più quale sia il gioco. non ricordi come si chiami, il gioco, non ricordi come sia fatto il campo, figurati se ricordi le regole –ché ogni gioco ha sempre delle regole-, non riesci a distinguere i giocatori dagli spettatori, né i compagni dagli avversari. e diventa difficile giocare, e trovare il proprio ruolo, quando dimentichi quale sia esattamente il gioco a cui stai giocando. al punto che ti chiedi se stai giocando. già. perché il dubbio è legittimo. tu, ora, adesso, stai giocando? sei della partita, o sei in panchina, ora? oppure sei fuori dal campo, magari negli spogliatoi, o tra il pubblico sugli spalti? e la partita, la partita è ancora in corso, vero? non te lo ricordi. non ricordi il punteggio. e ci mancherebbe, visto che non ricordi nemmeno come si faccia, a fare punto a questo gioco che non ricordi più bene. e non ricordi nemmeno se sia una questione di punteggio, a ben pensarci, ché nei momenti in cui dimentichi il gioco come fai a sapere se quello che conta è il risultato, oppure, semplicemente, giocare?
(nel dubbio, canti. ché l’etica della curva è sempre parte di te, e sempre lo sarà, e l’etica della curva è che sai che la cosa importante è sempre e solo una: continuare a cantare, comunque sia. e non sai il gioco, non sai il campo, non sai i giocatori né gli avversari, non sai le regole, non sai il punteggio né quanto manchi alla fine, ma non importa. tu, intanto, continui a cantare.)
e alla fine, pensi che non lo sai cosa sia. e pensi anche che sono sempre tante, tantissime, tantetantissime le cose che non sai.
 
però che ci sono giorni che scorrono diversi dagli altri, questo sì che lo sai.
qualunque cosa sia, ci sono giorni che scorrono diversi dagli altri giorni.
e scorrimenti differenti nelle notti.
 
“perché forse, alla fine di tutto, crescere è il mondo che ti si restringe addosso”, hai scritto da un’altra parte, e l'hai scritto così tanto tempo fa ormai che non ti sembra più nemmeno di averlo scritto tu.
e allora pensi che c’è anche la questione del sentirselo un po’ stretto addosso, il mondo, un mondo che tira, che stringe, che non cade giusto.
e poi guardi chi invece è piccola in un mondo ancora enorme. e guardi te, e guardi lei, e la senti in modo acuto, la differenza. -e pensi che a volte è meglio essere ottuso nel sentire, forse, che sentire in modo acuto, ma anche questa per ora la lasci qui-.
 
e allora? allora niente. allora, ti sorprendi. ti sorprendi per la tua capacità di analisi delle situazioni. sapendo che se avessi un’uguale capacità nell'identificare le soluzioni sarebbe meglio molto meglio, va là.

martedì 29 gennaio 2013

FINIS TERRAE (la versione per ciku)

... e c'era quell'odore di oceano nell'aria che respiravi a fondo, che respiravi sentendo l'aria entrarti dentro narici, naso, faringe, laringe; la sentivi scendere attraverso trachea, bronchi, riempirti i polmoni, allargare la cassa toracica, spingere il diaframma. e c'era quell'odore di oceano, quell'odore che sai esattamente com'è, nella tua testa, nel tuo ricordo, lo conosci alla perfezione, l'odore d'oceano, ma non sai dirlo, non sai come si faccia a dirlo. e quando ci provi, sfugge, e non lo ricordi esattamente. sai com'è, ma i bordi sfuggono, si mischia un po'. è come quando ad occhi aperti pensi un volto, lo vedi nei tuoi pensieri, un fotogramma, nel tuo pensiero un volto che sai, ma se chiudi gli occhi i lineamenti si confondo, diventano opachi e non lo vedi più, non sai più con precisione com'è il volto che sai. e l’odore d’oceano è uguale, ecco, uguale. è proprio così. c'è quell'odore di oceano che ricordi ma se ci pensi troppo non sai più esattamente com'è. e scorre lungo i bordi, il pensiero di un odore, ed è sempre un passo più in là. ma respiri a fondo, ora, stavi respirando a fondo l'odore dell'oceano, lo sentivi entrarti nei polmoni, allargarti la cassa toracica. una mattina livida, livida di mattina troppo presto, livida della nebbia nebulizzata contro le scogliere. e un vento teso sulla faccia. e il rumore ritmico del frangersi dell'acqua, giù, giù laggiù in fondo, un paio di centinaia di metri laggiù, in fondo, il rompersi ritmico dell'oceano contro la scogliera; e l'odore dell'oceano, il vento teso nella mattina livida in sospensione nebulizzata, opaca di nebbia e luce astratta, e sentire l'oceano frangersi contro centinaia di metri di roccia, sentire laggiù, in fondo, sentire il rompersi ritmico dell'oceano contro la scogliera. impatta, rifluisce, impatta. impatta, rifluisce, impatta. laggiù, in fondo, un paio di centinaia di metri laggiù in fondo, il rumore dell'oceano che si frange contro infinite scogliere nere, il rumore cupo, un accordo che risuona sulla sfondo di tutto, del vento che soffia teso, del tuo essere in piedi su una scogliera, della nebbia nebulizzata che chiude la vista di quella mattina dove finiva un continente, dove la terra terminava, della opaca luce livida, astratta, e respirare l'odore dell'oceano. e sotto a tutto questo, sotto ogni singola cosa, sotto ogni singolo istante, onnipresente, la vibrazione sonora di un accordo che risuonava, l'accordo dell'oceano che si frange contro infinte scogliere nere. e respiravi quell'odore di oceano nell'aria, e sapevi che è quello il rumore che fa un oceano quando respira: è un accordo costante che risuona sotto ogni cosa. risuona, il respiro dell'oceano, risuona...

lunedì 28 gennaio 2013

FINIS TERRAE

...e c'era quell'odore di oceano nell'aria che respiravi a fondo che respiravi sentendo l'aria entrarti dentro narici naso faringe laringe la sentivi scendere attraverso trachea bronchi riempirti i polmoni allargare la cassa toracica spingere il diaframma e c'era quell'odore di oceano quell'odore che sai esattamente com'è nella tua testa nel tuo ricordo lo conosci alla perfezione l'odore d'oceano ma non sai dirlo non sai come si faccia a dirlo e quando ci provi sfugge e non lo ricordi esattamente sai com'è ma i bordi sfuggono si mischia un po' è come quando ad occhi aperti pensi un volto lo vedi nei tuoi pensieri un fotogramma nel tuo pensiero un volto che sai ma se chiudi gli occhi i lineamenti si confondo diventano opachi e non lo vedi più non sai più con precisione com'è il volto che sai e l’odore d’oceano è uguale ecco uguale è proprio così c'è quell'odore di oceano che ricordi ma se ci pensi troppo non sai più esattamente com'è  e scorre lungo i bordi il pensiero di un odore ed è sempre un passo più in là ma respiri a fondo ora stavi respirando a fondo l'odore dell'oceano lo sentivi entrarti nei polmoni allargarti la cassa toracica una mattina livida livida di mattina troppo presto livida della nebbia nebulizzata contro le scogliere e un vento teso sulla faccia e il rumore ritmico del frangersi dell'acqua giù giù laggiù in fondo un paio di centinaia di metri laggiù in fondo il rompersi ritmico dell'oceano contro la scogliera e l'odore dell'oceano il vento teso nella mattina livida in sospensione nebulizzata opaca di nebbia e luce astratta e sentire l'oceano frangersi contro centinaia di metri di roccia sentire laggiù in fondo sentire il rompersi ritmico dell'oceano contro la scogliera impatta rifluisce impatta impatta rifluisce impatta laggiù in fondo un paio di centinaia di metri laggiù in fondo il rumore dell'oceano che si frange contro infinite scogliere nere il rumore cupo un accordo che risuona sulla sfondo di tutto del vento che soffia teso del tuo essere in piedi su una scogliera della nebbia nebulizzata che chiude la vista di quella mattina dove finiva un continente dove la terra terminava della opaca luce livida astratta e respirare l'odore dell'oceano e sotto a tutto questo sotto ogni singola cosa sotto ogni singolo istante onnipresente la vibrazione sonora di un accordo che risuonava l'accordo dell'oceano che si frange contro infinte scogliere nere e respiravi quell'odore di oceano nell'aria e sapevi che è quello il rumore che fa un oceano quando respira è un accordo costante che risuona sotto ogni cosa risuona il respiro dell'oceano risuona...

domenica 27 gennaio 2013

DEI POMERIGGI DELLE DOMENICHE

ammazzare il tempo, dicono. senza considerare l'inanità della cosa, ché alla fine della corsa è sempre il tempo che ammazza te.

lunedì 21 gennaio 2013

DELL'AUTOBIOGRAFIA DELLE FRASI UN PO' COSI'

che a volte poi vengono queste frasi. sì, esatto, proprio così: vengono. che tu sei lì, distratto, che fai qualcosa, o nulla magari, sei lì sereno e cazzafrullo, oppure impegnato in qualcosa che assorbe la tua attenzione e ti costa un qualche sforzo. ché in fondo è la stessa cosa, non importa quello che stai facendo, importa che tu sei lì, e un bel momento ti piomba addosso una frase, ma non una frase qualsiasi, no, una frase di quelle frasi lì. che ti fermi, e ci pensi, e poi te la ripensi, e di nuovo ancora, e lo sai che è una frase di quelle frasi lì, di quelle frasi quelle che. ecco, sì, quelle. che poi peraltro non sai bene cosa fartene di quelle frasi lì. ché certe frasi ti piacciono, le frasi che vengono così, ma non è che ci puoi fare qualcosa, lì per lì. è che vengono queste frasi. a volte. e vengono così. semplicemente, vengono. da dove, poi, chissà. si formano da sé. forse. sembra. sembra come se. viene questa frase che sembra che venga da sé. e la prendi e la giri. la giri e la rigiri. e sì, ti piacciono proprio, le frasi che vengono così. quelle che non sai bene se è intelligente, o irrimediabilmente banale. che quando una cosa sembra filare, ma filare davvero, non lo puoi mai sapere se è intelligente o banale. irrimediabilmente banale. non c'è nulla da fare. non si capisce mai. fila così bene perché è una botta di culo? o fila così bene perché è talmente scontata che...? boh. bah. chissà. e comunque, è la questione di quelle frasi lì. quelle che ti vengono così, quelle volte. quelle volte che. ché a volte ci sono le volte che. ecco, quelle volte. esattamente quelle volte che. e cosa vuoi fartene, poi, delle frasi di quelle volte lì? afferrale. trattienile. ché è facile perdersele, le frasi così. ti dici "me la ricordo, sì, sì", e poi passano 5 minuti e "…?!?!? com'è che era, esattamente?!". e vedi mai che stavolta era davvero una frase intelligente, per una volta. per pura botta culo, eh, però pur sempre intelligente, magari, stavolta, vedi mai. ed è uno spreco, perdersela così, no? ecco, che poi se no va così. scrivitele. appùntatele. con quello che hai lì per lì. un foglietto. il biglietto della spesa. un post it. scrivitele lì. che poi le frasi vanno perse. ché si sa, le frasi vengono. le frasi vanno. sei tu che resti. scrivitele quando ti vengono. con quello che hai lì per lì. se hai anche il tempo di prenderlo, di andare di là, di rovistare nei ripiani per trovarlo, scrivitele sul taccuino, quello nero, il taccuino nero a quadretti, quello con l'elastico, nero anch'esso, quello che tieni lì appoggiato sullo scrittoio. che non si sa mai, poi. scrivitele, sì, le frasi quelle frasi lì. che poi vanno perse. sennò. 
la vita non è altro che la propria autobiografia. 
ecco, questa, esattamente questa, questa scrivitela lì. che poi va persa. sennò. e se è banale, e pure irrimediabilmente, amen. tanto lo sai solo tu.

domenica 20 gennaio 2013

L'EDUCAZIONE SENTIMENTALE DELL'ADOLESCENTE MASCHIO

More about Subbuteo. Storia illustrata della nostalgia

che non ce n'è. il mondo dei maschietti si divide esattamente in due. chi subbuteo. chi no. il resto, dettagli.
che sì, è esattamente così: "fanculo al monopoli, ai soldatini e alle macchinine"

giovedì 17 gennaio 2013

DAL K ALLA H

altezza mezza bellezza. dicono. sì, sì, ok. 
ma chi invece la preferisce intera, la bellezza?

sabato 12 gennaio 2013

STAY HUMAN


dopo i giorni e le notti del gelo e del calore e del calore e del gelo, i giorni e le notti chiuso nelle stanze e nell’aria chiusa del chiuso delle stanze a lasciar scorrere febbre a lasciar scorrere ore a occhi chiusi che non riuscivi a tenere aperti gli occhi, a lasciar scorrere sogni contorti e sonni ritorti, stamattina apri le finestre e lasci entrare l’aria fredda e grigia e d’inverno e pulita, togli le lenzuola dal letto, metti lenzuola pulite e colorate, tiri fuori vestiti puliti, appallottoli quelli che indossi e che sanno di acido e di letto e di corpo e di pelle e di te e di febbre e li getti nel cesto e ti infili in doccia e lavi via dalla pelle e dai capelli tutto, la febbre e il sudore, lasci scorrere l’acqua sulla pelle e nella bocca. torni umano.

dopo i giorni e le notti del gelo e del calore e del calore e del gelo, i giorni e le notti chiuso nelle stanze e nell’aria chiusa del chiuso delle stanze, stamattina esci dalle stanze esci dal palazzo esci e cammini e respiri le strade fredde e grigie e d’inverno, e cammini vie strette e cammini sopraelevate e  cammini vie strette e cammini vie curve e cammini tagli di prospettive tra grattacieli arborescenti e poi e poi le voci l’affollamento le merci le grida i flussi le bancarelle gli odori i colori la gente del mercato nelle vie che brulicano e si modellano e prendono forma e colore e rumori e voci e vivono. 
e torni umano.

CHE FELICITA' TI DA'


sapessi che felicità mi dà l'idea di non vederti più [...] l'idea di non sapere più quando cammini dove vai, quando dormi con chi lo fai, di tutte le lacrime che hai quante ne piangerai [...] quando fai la spesa cosa comperi, di che colore hai colorato i mobili... vorrei non sapere più nemmeno dove abiti...

e tu sei più fortunato, di dente. che tu davvero non lo sai, dove abita. 
e che felicità ti dà...



[© dente]

mercoledì 9 gennaio 2013

CHE NON ESISTONO PIU', LE STAGIONI. NON SOLO LE MEZZE, MA NEPPURE LE INTERE.

che dicono che è inverno, questo. ma a te non pare proprio inverno. che a te 39,2° ti pare più estate. e pure calda, l'estate.
va che roba...

martedì 8 gennaio 2013

R€QUI€M (che repetita iuvant)

e anche per quest'anno si conferma quanto già sapevi della vita e della morte.
e anche per quest'anno, che i saldi sono la prima causa di morte delle carte di credito.

lunedì 7 gennaio 2013

DELL'IMPORTANZA DELLA QUARTA

com'è come non è, alla fine ti accade che la prima cosa che guardi in una donna è la mano sinis... no, dai, questa è proprio una cazzata... la prima cosa che guardi, la mano! tu! seeee, figurarsi. che prima il viso, ovvio. poi, il rapporto spalle/fianchi. poi, le gambe. prima, seconda, e terza. ed eccoci alla quarta, ché arriva ora, la mano sinistra. e sì, ora sì, la mano, ché la quarta cosa che guardi in una donna è la mano. la sinistra. questo è chiaro. ed è ancora più chiaro che quello che guardi nella mano sinistra è un dito in particolare. l'anulare, ca va sans dire. 
fin qui, tutto chiaro. 
quello che invece al momento non ti è ancora noto è se tu, l'anulare sinistro di una donna, lo guardi perché lo preferisci libero. o anellato.

sabato 5 gennaio 2013

ri-CITANDO IL K

cosa vuoi dal 2013, k?

facile:
un bonifico sul conto del k di due milioni di euro;
valeria solarino nel letto del k;
l'ottava champions del milan;
un meteorite sullo stadio di torino durante juve-inter;
charlize theron che raggiunge il k e valeria solarino nel letto del k.

solo cinque? ma non facciamo una top ten?
perché essere pretenziosi? intanto iniziamo così. poi a giugno vediamo.


[ per l'ispirazione ]

venerdì 4 gennaio 2013

martedì 1 gennaio 2013

ABSOLUTE BEGINNERS (due zero uno tre)


e stavolta com’è, l’inizio di questo due zero uno tre? che c’è sempre un inizio, no?
l’inizio stavolta ti trova che non sei solo, no, che siete in sette, e in sette vi trovate sull’erba di una rotonda, a guardare tutti e sette il cielo e i tetti in lontananza, e sotto il cielo e sopra i tetti i blu e i gialli e i verdi i bianchi i rossi e gli ori delle esplosioni artificiali, e voi lì, sull’erba della rotonda, a guardare le esplosioni artificiali e la lenta deriva nel nerocielo delle luci “guarda, gli ufo” “ma và, le lanterne cinesi”, e le nuvolette che fanno nell’aria le vostre parole e le vostre risate (“vedi che non erano in due a fare cose nell’auto, lì, nel parcheggio? guarda, c’è solo il guidatore, vedi?” indicando l’auto che passa lì accanto. “dio, sei così innocente che stringi il cuore, tu”).
ma non è questo, l’inizio.

è subito dopo, l’inizio. dopo, non appena vi incamminate verso casa, e vi girate verso gli ultimi fuochi che pirotecnicano nella mezzanotte, e vedete che dal nero scende lieve il biancore di un fantasma di una nube di un’idea che ondeggia e rolla e beccheggia e scivola e plana e si appoggia esattamente sull’erba della rotonda proprio in mezzo a voi dove eravate attimi prima se foste rimasti lì dove eravate, è esattamente lì che atterra questo fantasma questa nuvola quest’idea. ed è la bambina a prenderla e a tenerla come piccolo trofeo, questa lanterna cinese ormai spenta esaurita atterrata in mezzo a voi sette.
ed è esattamente lì, che ti trova l’inizio. che c’è sempre un inizio, no? 

ed è come avere magia, e non saperla fare andare via.

[© la crus]

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