ora
che non ho fame di parole
avrei bisogno di parole
parole che scorrano facili
e non inciampino in mezzo alle dita
che poi le questioni sono sempre le stesse, le
questioni a cui giri intorno, o forse sono loro a girare intorno a te, chissà, ecco sì,
forse è questo: le questioni che ti girano intorno come musica ti
circondano ma non le afferri, e ogni volta che schiacci play ricominciano
identiche a se stesse... e le parole sono ellissi che racchiudono porzioni di
spazio e separano il dentro dal fuori ma non ricoprono lo spazio racchiuso, le
parole definiscono confini, le parole non completano il quadro, c'è sempre
territorio libero per le sfumature, le interpretazioni, le visuali diverse, ché se giri il foglio il
disegno è lo stesso ma sembra diverso, e dei disegni l'occhio coglie le linee
che delimitano e non gli spazi che vengono definiti, e con le parole è lo
stesso, il senso scorre lungo i bordi, lungo i confini, lungo i bordi delle parole e lungo i confini delle frasi, il senso scorre lungo il perimetro del discorso, e resta lo spazio in mezzo, resta indefinito, e lo sai, sì, sì,
lo sai, lo sai che il tempo ticchetta, e noi invecchiamo. prima ancora
di rendercene conto ne è già passato fin troppo, e ci siamo persi l'occasione
di lasciarci ferire dagli altri. quando ero più giovane mi sembrava una grande
fortuna; ora che sono più vecchio mi sembra solo una tragedia silenziosa e
anche queste sono parole mute, sono parole che tracciano i confini, che corrono
lungo i bordi, parole che non riempiono gli spazi, e proprio ora che avrei
bisogno di parole, parole che cadano in gola come pioggia calda a
definire le rabbie e gli affanni, gli scoramenti e gli sfinimenti, a definire i
vuoti che non si colmano, no, ché non li colmano le parole, non li colma il
tempo, non li colma la volontà, e con i vuoti devi forse imparare a convivere e
non pensare di poterli riempire perché le parole definiscono confini e non gli
spazi tra le linee, e tra gli spazi indefiniti ci sono anche i vuoti, e chissà
se importa poi che forse abbiamo dovuto pagare un prezzo per la nostra
vita scintillante, e il prezzo è stato l'incapacità di credere totalmente
nell'amore. al suo posto abbiamo ricevuto in dono una particolare forma di
ironia che ha bruciato tutto quello con cui entravamo in contatto. e mi domando
se questa forma di ironia rappresenti il prezzo che abbiamo pagato per vivere
senza dio… cosa dici, importa? importa chiedersi di nuovo e ancora se siamo
disposti a rinunciare a ciò che noi vogliamo per ottenere tutto ciò che non
vogliamo perdere? importa? e se sì, se importa, allora dove porta? alle
solite questioni che ti girano intorno come musica, che ti circondano ma non le
afferri, e ogni volta che schiacci play ricominciano identiche a se stesse. in
ellissi di parole. ché alla fine, in fondo, sono sempre e solo ellissi di
parole.
press stop.
now.
[© el muniria, douglas coupland, casino royale]