e allora, kovalski?
e allora pensi.
che detta così, sembra scontata. la cosa più ovvia del mondo: “e allora pensi”. ma così banale non è, a ben guardare. ché il pensiero ha questo di strano, che viene da sé. mica li decidi tu, i tuoi pensieri. che insomma, sono i "tuoi" pensieri, no? e allora, ti aspetti che dovresti essere tu a pensarli, i tuoi pensieri. e invece no. i pensieri ti arrivano così. li pensi che già ci sono, i tuoi pensieri, non è che li assembli tu parola dopo parola, no, i pensieri quando ti arrivano sono già pensieri. formati, fatti, finiti, rifiniti, definiti. che dovresti essere tu a formularli, i tuoi pensieri, e invece no, è qui il trucco: loro ci sono da un attimo prima del tuo pensarli. ché non li pensi tu, i tuoi pensieri, no, sono loro che ti attraversano le sinapsi. e chissà da dove ti arrivano i pensieri, allora, che già formati fatti finiti rifiniti definiti ti attraversano le sinapsi.
e allora pensi. e già in questo, sotto l’ovvietà della superficie, c’è un enorme mare nero insondabile, da qualche parte molto prima della soglia del tuo pensiero cosciente.
e allora pensi.
non sai se sia il cambio di stagione. che ogni sera ti accorgi che diventa buio sempre un attimo dopo, sera dopo sera -e ogni sera ti stupisce l’attimo in cui ti accorgi che c’è ancora luce, perché è il buio che innesta i pensieri, non c’è nulla da fare, ché buio o luce non è la stessa cosa-. e vedere nel persistere qualche attimo in più della luce prima di sfumare nel buio l’ennesimo inverno che sfuma verso l’ennesima primavera.
non sai se sia questo.
non sai se sia che la consapevolezza in certi giorni è più acuta –e questo vuol dire che altre volte invece la consapevolezza è più ottusa, allora, ma per ora questa la lasci qui-. forse è questo: l’acutizzarsi della consapevolezza, e sentire di più le cose che solitamente scorrono senza che tu vi presti attenzione.
non sai se sia questo.
non sai se sia che ci sono cose che assumono un significato simbolico e ineludibile. che siano giorni, o che siano gesti. giorni che si avvicinano, e che stanno per arrivare. o anche gesti semplici e minimali, come vuotare una scatola, magari. e li senti marcare anche il tuo tempo, i giorni che s’avvicinano o certi gesti minimali, con un segno indelebile. ed è anche questo che dà il senso dello scorrere del tempo, e della sua irrimediabilità: i segni incisi lungo il percorso.
ma no, non sai se sia neppure questo.
(una cosa però la sai: sai che non è questione di sindrome premestruale. e di questo sei sicuro, ché ti aiuta la biologia, qui. che anch’essa ha le proprie ineludibilità. ché in ogni cosa, in ogni situazione, se fai attenzione qualche piccola certezza c’è sempre. e questo lo sai, che non è questo. gran cosa, la biologia, gran cosa.)
non sai se sia che a volte non sai più quale sia il gioco. non ricordi come si chiami, il gioco, non ricordi come sia fatto il campo, figurati se ricordi le regole –ché ogni gioco ha sempre delle regole-, non riesci a distinguere i giocatori dagli spettatori, né i compagni dagli avversari. e diventa difficile giocare, e trovare il proprio ruolo, quando dimentichi quale sia esattamente il gioco a cui stai giocando. al punto che ti chiedi se stai giocando. già. perché il dubbio è legittimo. tu, ora, adesso, stai giocando? sei della partita, o sei in panchina, ora? oppure sei fuori dal campo, magari negli spogliatoi, o tra il pubblico sugli spalti? e la partita, la partita è ancora in corso, vero? non te lo ricordi. non ricordi il punteggio. e ci mancherebbe, visto che non ricordi nemmeno come si faccia, a fare punto a questo gioco che non ricordi più bene. e non ricordi nemmeno se sia una questione di punteggio, a ben pensarci, ché nei momenti in cui dimentichi il gioco come fai a sapere se quello che conta è il risultato, oppure, semplicemente, giocare?
(nel dubbio, canti. ché l’etica della curva è sempre parte di te, e sempre lo sarà, e l’etica della curva è che sai che la cosa importante è sempre e solo una: continuare a cantare, comunque sia. e non sai il gioco, non sai il campo, non sai i giocatori né gli avversari, non sai le regole, non sai il punteggio né quanto manchi alla fine, ma non importa. tu, intanto, continui a cantare.)
e alla fine, pensi che non lo sai cosa sia. e pensi anche che sono sempre tante, tantissime, tantetantissime le cose che non sai.
però che ci sono giorni che scorrono diversi dagli altri, questo sì che lo sai.
qualunque cosa sia, ci sono giorni che scorrono diversi dagli altri giorni.
e scorrimenti differenti nelle notti.
“perché forse, alla fine di tutto, crescere è il mondo che ti si restringe addosso”, hai scritto da un’altra parte, e l'hai scritto così tanto tempo fa ormai che non ti sembra più nemmeno di averlo scritto tu.
e allora pensi che c’è anche la questione del sentirselo un po’ stretto addosso, il mondo, un mondo che tira, che stringe, che non cade giusto.
e poi guardi chi invece è piccola in un mondo ancora enorme. e guardi te, e guardi lei, e la senti in modo acuto, la differenza. -e pensi che a volte è meglio essere ottuso nel sentire, forse, che sentire in modo acuto, ma anche questa per ora la lasci qui-.
e allora? allora niente. allora, ti sorprendi. ti sorprendi per la tua capacità di analisi delle situazioni.
sapendo che se avessi un’uguale capacità nell'identificare le soluzioni sarebbe meglio molto meglio, va là.